La “Collezione Teresita Olivares Paglione”
al Museo universitario di Chieti
Grazie alla generosità di Alfredo Paglione, il Museo dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti – Pescara ospita, dal maggio 2013, la “Collezione Teresita Olivares Paglione”. Si tratta di una raccolta unica nel suo genere: sono 301 oggetti tutti riferiti al tema della tartaruga; per la maggior parte opere di artisti contemporanei variamente famosi, quali Sassu, Guttuso, Cascella, Fontana, e, subordinatamente di oggetti etnografici raccolti in varie parti del mondo, da quelli propri della tradizione simbolico – magica del Centro America, a quelli rarissimi tipici delle culture centro – africane. Il carattere di maggiore straordinarietà della donazione è legata all’origine della curiosa collezione: essa è la “raccolta di una vita” della signora Teresita Olivares Paglione, scomparsa nel 2008, violoncellista di origine colombiana, moglie del gallerista Alfredo Paglione e cognata dell’artista Aligi Sassu. Alla collezione è interamente dedicato il secondo volume della Collana di “Quaderni” del Museo universitario nel quale è pubblicato l’articolo che si proponiamo qui di seguito (in fondo alla pagina).
Museo Universitario
Università “G. d’Annunzio” Chieti e Pescara
Piazza Trento e Trieste
66100 Chieti, Italia
Orario Museo
dal martedì al venerdì
ore 9:00- 19:30 (ultimo ingresso ore 19:00)
sabato e domenica
ore 15:00- 20:00 (ultimo ingresso ore 19:30)
Lunedì chiuso
Reception
Telefono 0871-3553514
Tartarughe tra arte e natura
di Nicoletta Di Francesco e Luciano Di Tizio
Una collezione di opere e di oggetti d’arte in un museo scientifico? Potrebbe sembrare una scelta a dir poco inconsueta se la collezione non fosse quella di Teresita Olivares Paglione, interamente dedicata alle tartarughe: la tematica, insieme alla collocazione geografica delle sale, rende la scelta decisamente ottimale. Il Museo universitario dell’ateneo abruzzese intitolato a Gabriele d’Annunzio è un centro di ricerca di primo piano che, tra i mille altri reperti, conserva e studia anche fossili di animali ascritti all’Ordine Testudines o Chelonia, che è poi quello che, nella classificazione scientifica, raggruppa testuggini e tartarughe. Termini, diciamo per inciso, che per i ricercatori non sono affatto equivalenti: il nome tartaruga andrebbe usato infatti esclusivamente per le specie marine mentre quelle con abitudini terricole o palustri dovrebbero essere chiamate testuggini. La distinzione non ha in verità alcun fondamento scientifico ma viene raccomandata negli ambienti accademici e nelle pubblicazioni divulgative per evitare confusioni. Nel linguaggio comune tuttavia le due parole sono sempre state e vengono tuttora considerate semplicemente dei sinonimi.
In un museo di tal fatta una collezione a tema zoologico si inquadra perfettamente. Ancor più in un museo abruzzese, per via della consolidata presenza nella regione di due specie: una dulcacquicola, Emys orbicularis e una con abitudini terricole, Testudo hermanni. La prima è segnalata in vari siti della regione ed è relativamente comune nel Sud della provincia di Chieti. La seconda, più rara, è tuttora diffusa nel territorio della Riserva Naturale “Lecceta di Torino di Sangro”. Un habitat residuale, visto che in tempi antichi la specie colonizzava spazi ben più ampi: recenti studi hanno infatti accertato la presenza di resti archeozoologici databili con una certa continuità dall’epoca neolitica (circa 6500 anni or sono) sino a oggi lungo l’intera costa abruzzese e all’interno lungo le grandi vallate create dai principali fiumi.
Le tartarughe hanno sempre colpito l’immaginario di Teresita Olivares, musicista di grande spessore e di profonda sensibilità, che negli anni si è interessata a collezionare oggetti a tema, preziosi e non. Sono stati tanti gli artisti che, direttamente o attraverso il marito, il notissimo gallerista e oggi apprezzato mecenate Alfredo Paglione, hanno voluto arricchire la sua personale raccolta. Quando Teresita è scomparsa, ad Alfredo è sembrata una scelta naturale, nel quadro delle iniziative che anno dopo anno porta avanti per onorarla, quella di far conoscere a tutti i quadri, le sculture e gli oggetti che la sua amatissima moglie aveva saputo riunire e custodire. Una esposizione permanente, dunque, possibilmente in Abruzzo, terra natia. Il nostro incontro con Alfredo Paglione è nato proprio nel segno della tartaruga: galeotto fu l’articolo, su una rivista, che raccontava delle testuggini della lecceta di Torino di Sangro e dei nostri ormai trentennali studi su quella popolazione. Il gallerista volle saperne di più. Una serie di incontri, contatti, escursioni sul territorio e infine il naturale approdo verso il Museo universitario, esemplare nella vivacità delle iniziative e nell’approccio dinamico, fatto di ricerca costante, di studio e di offerta espositiva in continuo divenire. Un humus culturale perfettamente in linea con quello che Paglione aveva sempre portato avanti nell’arte: rinnovamento, scoperta del nuovo e insieme un saldo ancoraggio al concetto del bello, della tradizione che sempre si arricchisce e riesce a cambiare di continuo pur restando sostanzialmente fedele a se stessa.
Un humus culturale nel quale la tartaruga non può che trovarsi perfettamente a suo agio. Stiamo parlando infatti di un animale che è comparso sulla Terra, più o meno nell’aspetto in cui tuttora lo conosciamo, già nel Triassico superiore, vale a dire circa 200 milioni di anni fa. Da allora, pur differenziandosi in centinaia di specie (quelle note attualmente viventi sono circa 300) non ha avuto bisogno di trasformarsi più di tanto, a dimostrazione di un successo evolutivo che ha pochi eguali nella storia della vita sulla Terra. Per capirci: le tartarughe erano già “vecchie” all’epoca dell’estinzione di massa dei dinosauri, alla fine del Mesozoico, circa 65 milioni di anni or sono, ed hanno assistito indifferenti, appena 200 mila anni fa, in termini geologici ieri l’altro, ai primi incerti passi da bipede dell’Homo sapiens.
Non c’è da stupirsi di trovarle protagoniste nelle mitologie religiose, nelle credenze popolari e in infinite favole quasi in ogni cultura del mondo. In verità non sempre in termini positivi: la parola stessa tartaruga, a detta del Dizionario Enciclopedico Treccani, deriva dal greco tardo ed evoca il nome di uno spirito immondo. Secondo una antica cosmogonia la nostra rappresenta invece in sé il mondo intero, con il guscio ricurvo a simboleggiare la volta celeste e il suo corpo la terra. In un’altra è il robustissimo e gigantesco animale che sorregge uno o più elefanti sul cui dorso è poggiato il nostro pianeta: guai se si stancasse! Nel simbolismo del cristianesimo primitivo la tartaruga rappresentava invece niente meno lo spirito del male, anche se più avanti sarebbe stata sostituita in questo antipatico ruolo da un altro rettile, il serpente tentatore. Presso i popoli orientali in compenso è da sempre considerata simbolo dell’amore carnale per via della tenacia e della veemenza (a volte vera e propria violenza) dimostrate dai maschi durante la fase del corteggiamento che avviene attraverso poderosi e insistenti colpi di corazza, vere e proprie “martellate” i cui echi sono avvertibili anche a notevole distanza, e con violenti morsi sulle zampe delle femmine, talora ferite a sangue pur di indurle a fermarsi e ad accettare le attenzioni dei focosi compagni.
La citazione filosofica del ben noto paradosso attribuito a Zenone di Elea, secondo il quale Achille pie’ veloce sarebbe stato impossibilitato a raggiungere una testuggine se solo le avesse incautamente concesso qualche metro di vantaggio nella corsa, ci porta invece a una delle principali caratteristiche che le sono attribuite: la lentezza. In verità molte specie non sono affatto lente, ma questo attributo è stato cucito addosso alla tartaruga nelle favole di ogni tempo e di ogni epoca ed è ormai radicata nell’immaginario collettivo. Anche se poi la costanza e la determinazione, altre caratteristiche che le vengono universalmente riconosciute, le consentono di primeggiare. L’esempio classico è la corsa, narrata da Esopo, vinta contro la ben più veloce lepre.
Tra le specie oggi viventi qualcuna è davvero lenta, ma ci sono testuggini e tartarughe in grado invece di muoversi, e ancor più di nuotare, con sorprendente rapidità; altre vantano una notevole agilità; altre ancora sono capaci di arrampicarsi meglio di un provetto scalatore, persino risalendo controcorrente ripide e violente cascate.
Alcuni Cheloni sono grandi appena una decina di centimetri, altri, in particolare le tartarughe marine e le testuggini giganti diffuse in diverse isole, hanno taglie enormi. Quasi tutte sono estremamente robuste in virtù soprattutto della corazza, formidabile struttura ossea composta da una parte superiore (carapace) e una inferiore (piastrone) spesso unite da un ponte. Una peculiarità che le distingue dagli altri rettili e dai Vertebrati in generale e che rende le nostre pressoché invulnerabili per moltissimi potenziali predatori. Non a caso è proprio a questa corazza che si ispirava la “formazione a testuggine” utilizzata in guerra dai legionari dell’antica Roma che si proteggevano circondando il manipolo con i propri scudi e tenendone altri in alto sulla testa, uno accanto all’altro parzialmente sovrapposti come le tegole di un tetto, per avanzare in sicurezza a dispetto delle frecce scagliate dai nemici.
Una perfetta imitazione della nostra, anch’essa in grado di avanzare imperterrita in ogni circostanza grazie alla solidissima protezione della sua corazza. Anche in questo caso però la robustezza, a dispetto delle convinzioni imperanti, non appartiene a tutte le specie: ve ne sono alcune, non a caso dette “a guscio molle”, che presentano una riduzione della struttura ossea del carapace e del piastrone coperti da un rivestimento cutaneo simile al cuoio. Pur sempre una robusta protezione ma per nulla paragonabile alla corazza ossea, e peraltro maggiormente a rischio anche dal punto di vista della resistenza alle infezioni. Non l’abbiamo ancora detto, ma la corazza esterna è direttamente collegata all’apparato scheletrico, di cui fa parte integrante: le testuggini e le tartarughe non possono “uscire” dal guscio né in qualche modo sfilarselo di dosso, ma soltanto (e non tutte) ritirarsi al suo interno. Un peso da portarsi perennemente addosso, insomma. Non è semplice ma protezione e sicurezza meritano pure qualche sacrificio!
Corazza ossea o cuoiosa, le più svariate dimensioni, zampe tozze da grandi camminatrici o palmate se non addirittura pinnate per favorire il nuoto… le variazioni sul tema sono tante benché tutte le specie, anche a una sommaria osservazione, abbiano un aspetto tale da consentirci l’immediata attribuzione al grande ordine dei Cheloni. La radiazione adattativa, che a partire da un progenitore comune ha portato alla diversificazione nelle numerose specie oggi esistenti, senza dimenticare quelle ormai estinte, ha permesso la colonizzazione di tantissimi luoghi del nostro pianeta, praticamente tutti, mari compresi, escluse solo le regioni più fredde. La necessità di adeguarsi alle più svariate condizioni di vita, di habitat, di clima, di alimentazione, di strategie di sopravvivenza e le esigenze mimetiche hanno a loro volta determinato una varietà incredibile di forme e colori. Testuggini scatola, a forma di foglia, col collo lungo… sembra quasi che la natura abbia deciso di gareggiare sul piano della fantasia con le più audaci visioni che gli artisti sono stati capaci di inventare. Anche la fantasia dell’uomo nell’uso quotidiano ha avuto il suo peso: il guscio è stato trasformato in mantice per soffiare aria nei caminetti, in cassa armonica per strumenti musicali… e ha fornito materia prima per pettini, fermagli per i capelli, fibbie per cinture e per oggetti ornamentali di ogni foggia. Abitudini antiche che l’attuale accresciuta sensibilità per la natura e gli animali sta pian piano cancellando ma che comunque testimoniano, pur nello sfruttamento, una vicinanza tra l’uomo e le tartarughe che dura da millenni.
Alle caratteristiche di cui s’è già detto (lentezza, costanza, determinazione, robustezza) ne va aggiunta almeno un’altra: la saggezza, direttamente derivata dalla longevità. Siamo abituati ad associare all’età e all’esperienza la capacità di dispensare conoscenza e consigli. Non sempre è vero, ma di fronte ai patriarchi, in ogni settore, ci sentiamo spesso inadeguati e siamo in linea di massima pronti ad accettarli come figure di riferimento. È inevitabile che ciò accada anche di fronte ad animali considerati tra quelli in assoluto con una più lunga aspettativa di vita. Nella notissima “Storia infinita” di Michael Ende, ad esempio, è proprio a una plurisecolare tartaruga che il giovane guerriero in lotta per salvare il mondo dall’avanzata del Nulla si rivolge alla ricerca di consigli. In realtà solo pochissimi esemplari di poche specie riescono davvero ad avvicinarsi e a superare il secolo di vita, e questo avviene ancor più di rado in natura dove le insidie da affrontare sono tante. Le tartarughe che Teresita ha collezionato hanno tuttavia davvero una lunghissima esistenza davanti e contribuiranno nel tempo a far apprezzare l’abilità degli artisti che le hanno raffigurate e le peculiari caratteristiche di un fantastico animale, strano ed efficiente, antico e insieme moderno, sorprendente nella sua irripetibile unicità.