José Ortega. Realismo e identità mediterranea

Chieti. Museo Barbella, 2009

(113 opere dal 1959 al 1989)

Josè Ortega - Campo de trigo - 1972, tecnica mista su tavola, cm. 30x35; Vasto (Ch), coll. Museo Civico d'Arte Moderna di Palazzo D'Avalos

José ORTEGA
Campo de trigo
1972, tecnica mista su tavola, cm. 30×35;
Vasto (Ch), coll. Museo Civico d’Arte Moderna di Palazzo D’Avalos

Josè Ortega, La siesta, 1972, tecnica mista su tavola, cm. 112x177; Giulianova (Te), collezione privata

José ORTEGA
La siesta 1972,
tecnica mista su tavola, cm. 112×177;
Giulianova (Te), collezione privata

Ortega, Las islas. 1972, tecnica mista su tavola, cm. 30x35; Vasto (Ch), coll. Museo Civico d'Arte Moderna di Palazzo D'Avalos

José ORTEGA
Las islas 1972, tecnica mista su tavola, cm. 30×35;
Vasto (Ch), coll. Museo Civico d’Arte Moderna di Palazzo D’Avalos

Ortega, Nocturno. 1972, tecnica mista su tavola, cm. 98x130; Giulianova (Te), collezione privata

José ORTEGA
Nocturno 1972, tecnica mista su tavola, cm. 98×130;
Giulianova (Te), collezione privata

Ortega: Segadores. 1972, tecnica mista su tavola, cm. 98x130; Giulianova (Te), collezione privata

José ORTEGA
Segadores 1972, tecnica mista su tavola, cm. 98×130;
Giulianova (Te), collezione privata

Ortega: Segadores de avena. 1970, tecnica mista su tela, cm. 54x65; Vasto (Ch), coll. Museo Civico d'Arte Moderna di Palazzo D'Avalos

José ORTEGA
Segadores de avena 1970, tecnica mista su tela, cm. 54×65;
Vasto (Ch), coll. Museo Civico d’Arte Moderna di Palazzo D’Avalos

Ortega: Segador y burro. 1963, acquatinta, mm. 560x760

José ORTEGA
Segador y burro
1963, acquatinta, cm. 56×76

Nel capitolo della grandi mostre offerte da Alfredo Paglione agli abruzzesi, l’esposizione – datata 2009 –  di 113 opere dal 1959 al 1989 di José Ortega presso il Museo Barbella di Chieti, intitolata “Realismo e identità mediterranea”, merita certamente un posto di rilievo. L’evento, curato dallo stesso Paglione e da Gianfranco Bruno e accompagnato da uno splendido catalogo edito da Vallecchi, ha consentito a tutti coloro che quella mostra hanno voluto visitare di ripercorrere la vicenda umana e artistica di un pittore eccezionale, capace di lasciare un indelebile segno nella storia dell’arte.

José García Ortega (1921-1990) nelle antologie è classificato come rappresentante di spicco del realismo sociale che propugnava “una pittura la cui essenza sia la società nella sua dialettica, una pittura umanista”. La sua scelta, politica e di vita, decisamente anti franchista, gli ha procurato il carcere e lunghi anni di esilio lontano dalla amata Spagna.

Colori forti i suoi, duri come dura è stata la sua esistenza: il rosso della sua tavolozza è “il rosso del sangue”. “Io – spiegava – non faccio mai un colore perché è bello. Nei miei colori non può esserci niente di gratuito, sempre dicono qualcosa e portano qualcosa dell’uomo”. “Un cielo nero non vuol dire che è notte sulla terra; invece che la notte arriva o è notte per l’uomo”.

Nel suo forzato peregrinare ha conosciuto anche l’Italia, nei cui angoli spesso ha cercato memorie della terra natia. Pittore dell’anima, ma non certo di un’anima avulsa dalla realtà. Lui, che aveva visto per la prima volta il mare a trent’anni, mentre lo trasferivano da un carcere all’altro, sentiva il dovere dell’impegno. Gli artisti non possono essere neutrali. “Creatori d’arte. Contro coloro che in questi momenti decisivi predicano il disimpegno e l’evasione”. Un manifesto che potrebbe essere eterno, adattabile a qualsiasi luogo e a qualsiasi regime politico che si proponga per dominare di abbrutire le menti. Per la vera arte la libertà non è invece un orpello né può consumarsi in una catalogazione di maniera. “Non mi preoccupo – diceva Ortega – di fare pittura classica, moderna o all’avanguardia. Il motivo conduttore della mia arte è semplice: far conoscere agli altri le cose che io ho capito”.