04 I cicli dell’arte

Goya. La provocazione e la guerra

Francisco Goya, Por una navaja, 1810-1814, acquaforte, cm 15,5x20

Por una navaja
1810-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Con razon ò sin ella, acquaforte cm 15,5x20

Con razon ò sin ella
1810-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Duro es el paso!, 1810-1814, acquaforte, cm 15.5x20

Duro es el paso!
1810-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Todo va revuelto, 1810-1814, acquaforte, cm 15,5x20

Todo va revuelto
1810-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Se defiende bien, 1810-1814, acquaforte, cm 15,5x20

Se defiende bien
1810-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, El buitre carnivoro, 1814-1815, acquaforte, cm 15,5x20

El buitre carnivoro
1814-1815
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Las resultas, 1814-1815, acquaforte, cm 15,5x20

Las resultas
1814-1815
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Clamores en vano, 1812-1814, acquaforte, cm 15,5x20

Clamores en vano
1812-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Francisco Goya, Cruel làstima!, 1812-1814, acquaforte, cm 15,5x20

Cruel làstima!
1812-1814
acquaforte, cm 15,5×20

Museo Universitario
Università “G. d’Annunzio” Chieti e Pescara
Piazza Trento e Trieste
66100 Chieti, Italia

Orario Museo

dal martedì al venerdì
ore 9:00- 19:30 (ultimo ingresso ore 19:00)
sabato e domenica
ore 15:00- 20:00 (ultimo ingresso ore 19:30)
Lunedì chiuso

Reception
Telefono 0871-3553514

La provocazione e l’arte dell’incisione nella carriera di Goya.

L’arte grafica fu intrapresa da Goya in maniera seriale in una fase tarda della sua carriera e significò un netto distacco dal suo ruolo di ritrattista ufficiale di corte, di pittore d’affreschi e di disegnatore di cartoni per arazzi. Le serie superstiti e note da lui prodotte sono quattro: i Capricci (80 lastre pubblicate nel 1799), i Disastri della Guerra (82 scene composte tra il 1810 e il 1820), la Tauromachia (33 stampe pubblicate nel 1816) e Los Disparates (22 incisioni di una serie lasciata incompleta e trovata post-mortem) ( Il testo di riferimento più comprensivo su questo argomento rimane J. Wilson Bareau, Goya. Le Stampe, Firenze 1984).

Esse rappresentarono per lui, sordo da anni, la possibilità di una narrazione più accessibile a tutti, più larga e seriale, che diede voce alle sue idee e alle sue analisi impietose della società del tempo, difficili da esprimere in un linguaggio minato dalla malattia. Per Goya, il bulino, la puntasecca, la maniera nera, l’ac­quaforte, le lastre, le cere, i mordenti furono un linguaggio di consolazione, con cui sfogare e mettere a nudo i propri pensieri e le proprie delusioni personali e politiche.

Tuttavia l’uso delle stampe come modello di studio, e poi di elaborazione personale, lo aveva seguito fin dall’esordio: le prime stampe di Goya sono infatti tre soggetti religiosi, con ogni probabilità eseguite per sé e per scopi devozionali. Il primo saggio, una Fuga in Egitto, atte­stato grazie alla firma ma non attraverso lo stile in quanto molto semplice e convenzionale, mostra tuttavia un senso di gravità e naturalezza nelle figure pesantemente vestite che prelude a una evoluzione positiva della tecnica. Questa Fuga in Egitto, di cui si conoscono solo sette impressioni, potrebbe essere stata incisa attorno al 1775 per celebrare la nascita del primo fi­glio di Goya e Josefa, sorella dell’artista e amico Francisco Bayeu, influente pittore spagnolo, discepolo del Mengs, che accompagnò e protesse Goya per tutta la vita. Una piccola stampa rappresentante S. Francesco di Paola, eremita italiano, delle stesse dimensioni, ha forse cele­brato la nascita del terzo figlio della giovane coppia nel 1780. Questa seconda stampa mostra un notevole progresso nella tecnica dell’acquaforte e una significativa influenza di Lorenzo Tiepolo, il secondo figlio di Giovan Battista, che era rimasto a Madrid dopo la morte del padre e la partenza del fratello Giandomenico. La conoscenza delle prove dell’incisore italiano do­vette essere veicolata da Francisco Bayeu, allora pittore di corte, che doveva essere in stretto contatto con i Tiepolo. La sua collezione di stampe, infatti, comprendeva molte acqueforti di Domenico, compresa la Raccolta di Teste (1774-75), mentre lo stesso Domenico Tiepolo possedeva una serie delle prime stampe di Goya e anche una copia dei Capricci del 1799.

Il S. Francesco da Paola di Goya è stato spesso messo a confronto con le Teste di Domenico e con il S. Giuseppe di Giambattista Tiepolo, padre di Domenico: tuttavia l’intensità emotiva del santo di Goya è interamente spagnola, andando così a marcare, con la propria incisività, la nuova strada iberica della tecnica dell’incisione. Questa stampa risente anche dell’influen­za di Rembrandt, i cui fogli circolavano liberamente in Europa in quegli anni, tuttavia Goya dimostra di possedere già un linguaggio proprio, caratterizzato da una linea incisa e guizzante con cui la calda luminosità della carta si fonde perfettamente.

Se le influenze stilistiche di queste due prime incisioni rimandano ai Tiepolo e a Rembrandt, dal punto di vista tecnico sembra chiaro che il pittore fosse un autodidatta e che imparasse attraverso un manuale il procedimento: è stato dimostrato come le prime due incisioni pro­dotte seguissero il metodo descritto nel manuale di Manuel de Rueda, pubblicato nel 1761; il retro del disegno preparatorio veniva coperto con gesso e appoggiato sulla lastra, in seguito il foglio era ripassato con uno stilo in modo che il gesso aderisse alla lastra. È proprio questa modalità quella impiegata da Goya per il San Francesco da Paola, di cui purtroppo il disegno non è sopravvissuto. La lastra per il S. Francesco fu nuovamente incisa per correggere un errore e ulteriori cambiamenti furono apportati nella figura del santo con la punta secca e con il bulino. Rettificare e rielaborare una lastra che ha subìto il bagno dell’acquaforte è piuttosto rischioso, perché la lastra deve essere rispianata e immersa di nuovo nel bagno acido, tuttavia Goya corse questo rischio per imperizia, ma dimostrando quanto fosse sperimentale il suo intervento.

La terza stampa dei suoi esordi rappresenta S. Isidro, il santo patrono di Madrid: qui il primo bagno di acquaforte fu un fallimento e la lastra fu presumibilmente distrutta. Il disegno ve­niva inumidito e posto direttamente sulla lastra poi, con l’apporto di un torchio, l’immagine appariva nel senso corretto rispetto all’originale. Il risultato rettificava il metodo precedente, non esente da un primo tentativo abortito di morsura, tuttavia Goya aveva trovato finalmente la prassi che gli era più congeniale, utilizzandola successivamente in tutte le sue lastre.

Nell’ottavo decennio del Settecento il pittore creò una stampa che aveva un tema sociale, la prima di una lunga serie: una vittima della “garrotta”, strumento usato dagli spagnoli per la pena capitale. Goya riesce a racchiudere qui, in pochi segni rivoluzionari, l’impressione opprimente di sofferenza e di morte. Il volto del giustiziato fu “battuto” dal pittore con un utensile utilizzato dagli incisori allo scopo di rendere l’idea dei lineamenti disfatti e smussare il contorno della figura. Non è noto il motivo della scelta di questo soggetto, non vendibile, ma sembrerebbe un suo primo impatto con quella violenza e brutalità che si ritroverà nei Capricci, nelle acqueforti dei Prigionieri e in alcune scene dei Disastri della Guerra, eseguite trentacinque anni dopo. L’acquaforte rivela un Goya ormai padrone dei mezzi tecnici e pre­corritore, tanto che la stampa fu amata e ripresa dai maestri romantici.

Nel 1776 l’attenzione del pubblico, degli artisti e dei mercanti sulle capacità di Goya si aggre­garono con il volume di Antonio Ponz intitolato Viage de España in cui, tra le molte informa­zioni, si citano i cartoni per gli arazzi eseguiti da Goya. Sarà forse per questo che, nel 1778, Goya portò a termine il più grande cartone per arazzi che avesse mai creato, la raffigurazione della Plazuela de la Cevada a Madrid; la stampa che ne trasse è la più grande delle acqueforti realizzate. Essa riproduce il cartone per l’arazzo come era prima che egli lo alterasse, ed è l’unico esempio di acquaforte che è collegato a un’opera pittorica. Questa stampa rappresenta veri e propri brani di vita reale e il linguaggio del pittore si discosta da un decorativismo ste­rile che lo accomuna più alle opere di Velasquez e di Tiepolo piuttosto che alla moda stilistica in voga tra gli artisti spagnoli.

Lo stesso Ponz, in quegli stessi anni, mise in piedi un’operazione che in molti, in Europa, stavano perseguendo, ovvero la realizzazione di incisioni dai quadri più famosi delle raccolte reali. Egli trovò un sostenitore nel conte di Floridabianca, il quale divenne sovrintendente dell’Accademia di Belle Arti; insieme al Ponz riesumarono un progetto già discusso nel 1774, in cui la riproduzione dei dipinti dei palazzi reali era stata affidata all’incisore Selma, e inse­rirono Goya e due giovani colleghi nell’impresa. Il pittore si impegnò a pubblicare le stampe dei maestri settecenteschi italiani e spagnoli: in particolare Goya volle riprodurre le opere di Velasquez, e fu così il primo a pubblicare le stampe tratte dai suoi quadri. La conseguenza di questa operazione fu la pubblicazione sulla Gazeta de Madrid di un’inserzione pubblicitaria per «nove stampe disegnate e incise all’acquaforte da Don Francesco Goya» dai quadri di Velasquez. Otto di queste incisioni furono messe in mostra all’Accademia di Belle Arti e attirarono l’attenzione di Giusti, ambasciatore austriaco a Madrid, il quale scrisse al Gran Cancelliere imperiale, specificando che l’autore delle stampe era un pittore e non soltanto un incisore, e che le stampe rappresentavano «un contributo importante al mondo delle Arti». Nei mesi successivi furono annunciate altre due acqueforti e Goya sperimentò per la prima volta l’acquatinta, che mediante tonalità differenti gli avrebbe permesso di rendere al meglio la qualità pittorica delle opere di Velasquez. Della sua interpretazione del capolavoro Las Me­ninas sono noti quattro stadi diversi, dove nell’ultimo è stato aggiunto un grado di acquatinta in più che impasta troppo l’effetto compositivo. L’interpretazione che Goya fa di Velasquez è sorprendente dal punto di vista tecnico: egli infatti elimina ogni contorno sostituendolo con linee parallele che si muovono attorno alle forme.

Nel pittore, l’arte incisoria toccò comunque il culmine dopo venti anni nella serie de i Capric­ci del 1799. In quell’anno Goya firmò una ricevuta per «quattro libri di Capricci incisi di mia mano all’acquaforte» che il Duca e la Duchessa di Osuna avevano acquistato. La serie delle stampe, ottanta pezzi di carattere satirico, fu annunciata in due giornali madrileni come un grande novità: le stampe erano disponibili all’acquisto in un negozio di profumi e di alcolici nella Calle del Desengaño per 380 reali, ma l’impresa attirò il tribunale dell’Inquisizione e la merce fu ritirata in tutta fretta. Il pittore tuttavia non si arrese e tenne nascosta la tiratura per poi consegnare alla Calcografia Reale, nel 1803, in un momento più favorevole politicamente, duecentoquaranta serie complete già stampate e pronte per la vendita. Il primo foglio della serie mostra l’autoritratto dell’artista, cui fanno seguito una serie di immagini che deridono i vizi e le follie della società contemporanea spagnola: dopo la stampa con le sinistre nozze di una aristocratica signorina mascherata, dalla doppia faccia, con un anziano gentiluomo (dal titolo Dicono di sì e poi tendono la mano al primo venuto), due fogli trattano della cattiva educazione data ai bambini e i risultati dannosi sono registrati in scene che illustrano l’immo­ralità e l’inganno praticati dagli uomini e dalle donne, che compaiono alternativamente come aggressori e vittime. Goya esplora i temi della superstizione e della sensualità, dell’avidità e della violenza, del brigantaggio, della prostituzione, degli innocenti vessati dall’Inquisizione, del clero avaro e corrotto, e di nobili ciarlatani. Il secondo capitolo si apre con la stampa che mostra l’artista addormentato al suo tavolo da lavoro, diventata la famosa, con l’iscrizione Il sonno della ragione genera mostri. Streghe e demoni, spiriti e fantasmi corredano la seconda parte delle immagini, che comprende personaggi d’alto rango come la duchessa madre di Osuna, Godoy e la duchessa d’Alba. Per questa seconda parte, più puntualmente riferita a personaggi reali, Goya scelse l’espediente del “sogno” per fare satira politica. I disegni furo­no fatti a penna e inchiostro seppia e furono trasferiti su lastre di rame, con l’aggiunta in un secondo tempo di un’acquerellatura d’inchiostro per rendere l’effetto dell’acquatinta.

Dal punto di vista stilistico, Goya sviluppa qui il contrasto drammatico tra luce e ombra attra­verso la morsura e brunitura dei grani dell’acquatinta, rendendo pittorico il senso di rovina e di catastrofe che egli percepiva intorno a sé. I Capricci costituiscono una denuncia illustrata unica nel suo genere, e le stampe esprimono le idee del pittore e dei suoi amici, liberali illu­minati. Non si conoscono gli interessi letterari di Goya, tuttavia le didascalie autografe sulle stampe evidenziano uno spiccato gusto del linguaggio popolare, con giochi di parole e modi di dire, e sono ammirevoli per il loro spirito sarcastico. I temi del mondo capovolto, tra razio­nale e irrazionale, sono comici, ma con forti richiami morali.

É con il volgere del nuovo secolo che l’attenzione di Goya verso la possibilità seriale delle stampe, vendute al dettaglio, si stabilizzò in una produzione interessantissima, ma non sempre approdata a buon fine, causa del clima restrittivo in cui la Spagna stava lentamente scivolan­do. La Tauromachia è una serie di scene dalla corrida che Goya pubblicizza per la vendita, tra ottobre e dicembre 1816. La didascalia nel foglio illustrativo che accompagna la pubblica­zione recita «Trentatrè stampe che rappresentano le diverse mosse e posizioni nell’arte della corrida, inventate e incise in Madrid da Don Francisco de Goya y Lucientes», cui segue l’e­lenco dei titoli, non incisi sulle lastre. Le stampe coprono la storia della corrida dalle origini, risalenti alla caccia al toro degli antichi spagnoli, alla sua evoluzione, risolta come singolar tenzone tra uomo e toro, iniziata con i mori durante l’occupazione della Spagna e perfezionata dai nobili cristiani, fino a quando la popolazione se ne appropriò nel XVIII secolo. Tre di que­ste stampe sono firmate e datate 1815. Tuttavia, invece di esaltare il drammatico confronto tra l’uomo e l’animale, Goya pone l’accento sulla brutalità del tema e sugli incidenti che questa disciplina provoca negli anfiteatri di Madrid e Saragozza, quelli che lui dovette frequentare. La serie dovette essere portata a compimento con i consigli dell’amico, Ceán Bermudez, che cambiò l’ordine delle tavole e impose titoli più esplicativi per rendere il progetto più dida­scalico: fu messa in vendita nel negozio di stampe della Calle Mayor a Madrid a 10 reali per singola stampa oppure 300 per l’intera cartella. Tuttavia la serie non ebbe successo poiché illustrava momenti di intensa drammaticità di difficile comprensione. E proprio qui si gioca il paradosso tra la stampa e la sua diffusione popolare e l’interpretazione troppo intellettuale di Goya: una delle stampe raffigura infatti Carlo V che trafigge un toro durante la corrida tenuta a Valladolid per celebrare la nascita del figlio nel 1527, ed è in relazione con un testo di Nico­las Fernandez de Moratin. Pensiero troppo sofisticato per una vendita al dettaglio.

Dopo la pubblicazione della Tauromachia, Goya continuò a incidere altre lastre soprattutto tra il 1816 e il 1823, durante il regno assolutistico e repressivo di Ferdinando VII. Tra queste, una serie è dedicata ai Disastri della guerra, realizzati in dieci anni, tra il 1810 e il 1820, che non arrivò mai alla pubblicazione a causa della soppressione della libertà di stampa da parte del governo spagnolo nel 1823 e al conseguente autoesilio del pittore in Francia, a Bordeaux.

Alla morte del pittore, nel 1828, furono ritrovate nella sua casa detta Quinta del Sordo venti­due stampe, tra le più enigmatiche e originali, realizzate ad acquaforte e acquatinta.

Poteva, forse, trattarsi di una serie lasciata incompleta quando Goya partì dalla Spagna. Di quattro stampe, le prove conosciute sono anteriori all’aggiunta dell’acquatinta. Delle più nu­merose prove con l’acquatinta, invece, tredici hanno un titolo a inchiostro e un numero, forse informazioni apposte dallo stesso Goya per ordinarle. I titoli cominciano tutti con la parola Disparate, ossia “follia”, spesso seguita da un aggettivo Follia crudele, Follia allegra, Fol­lia carnevalesca. Quando queste stampe furono pubblicate dall’Accademia Reale nel 1864, fu attribuito loro il titolo di Proverbi, probabilmente perché alcune scene potevano essere identificate con modi di dire popolari. Dal punto di vista stilistico il pittore ritorna qui alla sua ispirazione primigenia, da un lato Bosch e dall’altro Rembrandt, dimostrando che la sua ispirazione partiva sempre dai grandi maestri.

RAFFAELLA MORSELLI