03 I cicli dell’arte

Aligi Sassu. Un espressionismo lirico

Il tavolo alla stazione, 1951, olio su tela, cm 50x70

Il tavolo alla stazione
1951
olio su tela, cm 50×70

La chiesa di Alcudia, 1964, olio su tela, cm 62x82

La chiesa di Alcudia
1964
olio su tela, cm 62×82

I due soli, 1963-72, olio su tela, cm 145x195

I due soli
1963-72
olio su tela, cm 145×195

El entierro
1969-73
olio su tela, cm 81×100

El Duque de Tornareccio, 1971, olio su tela, cm 55x46

El Duque de Tornareccio
1971
olio su tela, cm 55×46

L’agitatore del freno e il cavallo verde, 1974, olio su tela, cm 53x75

L’agitatore del freno e il cavallo verde
1974
olio su tela, cm 53×75

Torriani in corsa, 1967, pastelli ad olio, cm 25x35

Torriani in corsa
1967
pastelli ad olio, cm 25×35

Teresita, 1967, pastelli su carta, cm 50x35

Teresita
1967
pastelli su carta, cm 50×35

Aligi Sassu, Argonauti, 1975, acrilico su masonite, cm 39x48

Argonauti
1975
acrilico su masonite, cm 39×48

Museo Universitario
Università “G. d’Annunzio” Chieti e Pescara
Piazza Trento e Trieste
66100 Chieti, Italia

Orario Museo

dal martedì al venerdì
ore 9:00- 19:30 (ultimo ingresso ore 19:00)
sabato e domenica
ore 15:00- 20:00 (ultimo ingresso ore 19:30)
Lunedì chiuso

Reception
Telefono 0871-3553514

Il 3 aprile 1930 un trafiletto non firmato sul “Corriere della Sera” informava: “Chi segue le nuove vicende dell’arte moderna visiterà con interesse, nella galleria Milano, la mostra ordinata in quelle sale da un gruppo di sei giovani artisti”. [i] Gli espositori erano Manzù, Pancheri e tre pittori ormai dimenticati. C’era poi un pittore che era poco più di un ragazzo e non aveva ancora diciotto anni. Era Aligi Sassu. La loro opera “sembra orientarsi generalmente piuttosto sulla bussola di Parigi che sugli esempi del novecentismo italiano” continuava l’anonimo cronista, che di Sassu citava i paesaggi “d’una colorazione immaginosa e violenta”.[ii]

In poche righe l’articolo coglieva, senza tanti giri di parole, quanto stava avvenendo in campo espressivo in quel decennio appena iniziato: una nuova pittura neoromantica stava subentrando al neoclassicismo che aveva dominato il decennio precedente. Era una pittura che guardava a Parigi, soprattutto al Picasso del periodo rosa e ai fauves, con una composizione non impostata più sul disegno e sulla solidità volumetrica, ma sul colore. Nel caso di Sassu, in particolare, era incentrata soprattutto sulle gradazioni di un rosso in cui, oltre alle suggestioni francesi, aveva parte l’interesse per il Beato Angelico, che il giovane artista andava a contemplare spesso a Firenze, dove arrivava in bicicletta da Milano perché non poteva permettersi il biglietto del treno.

Si trattava, in realtà, di un mutamento più variegato e complesso di quanto ci abbiano raccontato certe storie dell’arte, animate da un antinovecentismo manicheo. La Galleria Milano, dove quei giovani esponevano, era la galleria dei novecentisti. Raffaello Giolli, che li presentava, collaborava alle mostre estere del movimento sarfattiano. Nel 1930, poi, l’espressionismo più intenso in Italia era quello di Sironi, che otto anni prima era stato uno dei fondatori del classicheggiante “Novecento”, ma ora stava preparando, per la Quadriennale di Roma del 1931, opere “con personaggi deformati e dolorosi che sembrano dipinti col sangue”, come scriveva il critico Vincenzo Costantini.[iii] Anche Funi, Tosi, Salietti, esponenti di punta del “Novecento”, alla fine degli anni venti dipingevano con un segno più nervoso e un colore più effusivo, tanto che alla Biennale di Venezia del 1928 erano stati definiti “neoromantici”.[iv]

La svolta, insomma, era più trasversale di quanto è potuta sembrare in seguito. Il giovanissimo Sassu, comunque, ne era uno dei protagonisti. Intorno a lui si muovevano critici come Edoardo Persico e appunto Giolli, e giovani come Birolli, Tomea, Broggini, Fontana, il già citato Manzù.

Nato a Milano (da padre sardo) nel 1912, nel 1930 Sassu aveva già alle spalle un lungo percorso, quasi da enfant prodige. Nel 1927, ad appena quindici anni, aveva conosciuto Fedele Azari, massimo animatore del secondo futurismo milanese, e aveva stretto amicizia con Bruno Munari, che sarebbe divenuto capo riconosciuto del gruppo dopo la prematura scomparsa di Azari.  Aveva conosciuto anche Marinetti, che nel novembre sempre del 1927 aveva presentato lui e Munari in una serata al “Convegno”.

Nel 1928 (l’anno in cui era stato ammesso sedicenne alla Biennale di Venezia, divenendo forse l’artista più giovane che abbia mai esposto nella rassegna) aveva stilato con Munari il curioso manifesto futurista Dinamismo e riforma muscolare che, tra non sempre chiare affermazioni pseudoscientifiche, rivendicava una figurazione visionaria e un’immagine “sintetica antiprospettica” con “tinte fantastiche, antinaturali”.

Fantasia e visionarietà si rivelano anche nel ciclo degli Uomini Rossi a cui Sassu lavora nei primi anni trenta, reinventando la figura con la sua accesa sensibilità per il colore. Dipinge un’immagine precaria dell’uomo: una sagoma approssimativa, esile, spesso volutamente sgraziata, che suggerisce ora un sentimento di vitalità, ora un senso di stupore. Primitivismo ed espressionismo (quest’ultimo poco gradito a Persico, che prediligeva i suoi esiti più lirici) convivono in queste opere, dove il mito si intreccia con la realtà.

Nel 1934 Sassu compie con Tomea un viaggio a Parigi, dove incontra Campigli, de Pisis, Magnelli, vede da vicino le opere di Picasso e Matisse, ma soprattutto riceve una emozione profonda da Delacroix, che considererà sempre il più grande pittore francese. Chi scrive ricorda bene come Sassu, ormai più che ottantenne, si accalorasse ancora a difenderne l’arte. Di Delacroix avevo pubblicato un’antologia di scritti e, con giovanile ingenuità, mi ero permessa qualche riserva sull’enfasi romantica dei suoi cavalli, sempre costantemente impennati se non imbizzarriti. Sassu non era d’accordo: quell’enfasi gli sembrava necessaria, anzi non la considerava affatto enfasi, ma vita. E forse aveva ragione lui.

Torniamo però alle sue vicende degli anni trenta. Nascono alla metà del decennio i suoi Caffè dalle valenze esistenziali ante litteram, luoghi di incontro affollati in cui la gente si ritrova più sola che mai. Queste opere realistiche si intrecciano con scene di battaglie mitologiche, in cui la suggestione di Delacroix si coniuga con quella del Tintoretto, in un rigoglio segnico che anticipa la stagione barocca di de Chirico.

Intanto, sempre in questi anni, Sassu si fa conoscere alla Sindacale Lombarda, come molti suoi compagni di strada. Il suo cursus honorum si interrompe però improvvisamente. Nel 1937 è arrestato per attività antifascista e sconta un anno e mezzo di carcere tra Milano, Roma e Fossano. Nel luglio 1938 è liberato, ma rimane fino all’agosto 1941 un sorvegliato speciale. Per questo, rientrato a Milano, partecipa al movimento di “Corrente” in una posizione un po’ laterale.  “Non fui invitato alle mostre di Corrente, perché sarebbe stato dare un carattere troppo politico al movimento. Allo stesso modo nella rivista non fu mai pubblicato qualcosa di mio. Una situazione terribile che mi pesava moltissimo” ricorda. [v]

Il suo percorso espressivo è comunque diverso da quello dei protagonisti di “Corrente” perché non si ispira a Van Gogh, Ensor e in seguito al Picasso di Guernica ma, come abbiamo visto, a Delacroix e al Tintoretto, a cui accosta una meditazione su Renoir e sul Greco. Dipinge anche vari temi sacri in cui racchiude significati politici, come nelle Crocifissioni e nel ciclo sul Concilio di Trento, 1941-1942.

Nel dopoguerra continua la sua ricerca, alternando realismo (il ciclo delle Maison Tellier) e mito, visioni concrete e paesaggi fantastici, dominati dal colore. Nel 1963, fra l’altro, incontra il giovane Alfredo Paglione, che da quel momento diventa il suo mercante. Stringe con lui un sodalizio d’arte che si trasforma presto in un vincolo di affetti (Sassu sposa la cantante lirica colombiana Helenita Olivares, Paglione la sorella di Helenita, la violoncellista Teresita) e durerà quasi tutta la vita.

Negli ultimi decenni Sassu dipinge con tonalità sempre più irreali, ispirate da un lirismo trasognato. Lavora fino al momento della morte, che lo coglie nel 2000. Vale sempre, per la sua figura e la sua pittura, il ritratto che ne aveva tracciato Carrieri nel 1945:Aligi Sassu assomiglia nell’aspetto a un chierico di Theotocopuli, uno di quei modelli di giovani ecclesiastici allevati dai padri gesuiti con molta dottrina e rigore, e poche parole; un discendente dell’inquisitore Fernando De Guevara che il Greco dipinse in cappa viola e occhiali di ferro. È sardo, ma potrebbe essere benissimo spagnolo: uno spagnolo barocco e rissoso, di quelli che odorano di sangue bruciato o impiegano due tori per spaccare un filo di seta.[…] Ci sono delle vene capillari che si rompono e infuocano le sue composizioni foltissime e intricate di personaggi, dei vasi sanguigni che scoppiano simili a petardi in mezzo a paesaggi omerici: e tutto questo scandito da un disegno anatomico e grasso, seguito colore per colore, tono per tono, senza mai perdere di vista il racconto e nel racconto la pittura”.[vi]

ELENA PONTIGGIA

 

[i] Anonimo (Vincenzo Bucci?), Le mostre d’arte a Milano, “Corriere della Sera”, 3 aprile 1930

[ii] ibidem

[iii] V. Costantini, “Le mostre personali”, in La Sera, 12 gennaio 1931

[iv] M. Soldati, L’arte a Venezia. I neoromantici, ”La Stampa”, 4 settembre 1928

[v] “Corrente e oltre. Opere dalla collezione Stellatelli”, a cura di M. Pizziolo, catalogo della mostra (Milano, Permanente, 16 ottobre-15 novembre 1998), Milano 1998, p.86.

[vi] R. Carrieri, Sassu, catalogo della mostra, Galleria Borromini, Como 1945